Dopo aver sollevato la questione di legittimità Costituzionale degli artt. 2-4 della L. n. 164 del 1982 in riferimento agli artt. 2-3-24-29 Cost., la Cassazione ha sancito il diritto dei coniugi, nell’ipotesi di sentenza di rettifica ed attribuzione di sesso di uno di essi, di conservare il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale. Così la Suprema Corte in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2014, ha accolto il ricorso dei coniugi e decidendo nel merito ha dichiarato l’illegittimità dell’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, apposta a margine dell’atto di matrimonio, avvenuta a seguito della rettifica del sesso da parte di uno dei due, riconoscendo, nell’ipotesi in cui non vi fosse esplicita richiesta da parte di uno od entrambi, il diritto degli stessi al perdurare della situazione giuridica garantita dal matrimonio. Ciò si è reso necessario al fine di colmare il vuoto normativo esistente, che allo stato non regolamenta altre forme di convivenza. I soggetti interessati, infatti, nel caso de quo, in assenza di un provvedimento legislativo ad hoc, si ritrovano «da una condizione di massima protezione giuridica ad una condizione di massima indeterminatezza», vedendosi privare quindi, in via automatica, «quei diritti fondamentali e doveri solidali propri delle relazioni affettive», diritti sanciti dalla stessa Costituzione. La Suprema Corte, pertanto, ribadisce «l’impellente necessità di una produzione legislativa che possa garantire in termini di continuità una sostanziale equiparazione, in termini di diritti, doveri di assistenza economico patrimoniale e morale reciproca, a quella derivante dal matrimonio per quelle coppie già coniugate che vengano a trovarsi in situazioni analoghe».